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“Americani” di James Foley


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Quello di David Mamet è un nome che probabilmente dice molto agli appassionati di cinema più incalliti, ma che può risultare molto meno altisonante a quella grande fetta di pubblico tendenzialmente restia a lasciarsi attrarre da pellicole che non fanno dell’esuberanza visiva il fulcro del loro universo filmico.

A me personalmente era capitato di sentir descrivere in termini entusiastici il Mamet sceneggiatore, ancor prima che regista, per via dell’incisività unica dei dialoghi da lui scritti, e per la vitalità e la consistenza dei suoi personaggi. Certo, succede spesso che le qualità di un cineasta vengano esaltate in maniera eccessiva. Dopo aver testato di persona la potenza disarmante dei dialoghi in “Americani”, però, mi sono reso conto che talvolta accade che le lodi abbiano davvero un senso. Quelle rivolte a Mamet, e al suo talento creativo, di sicuro ne hanno.

Tempi duri a Chicago per i venditori di un’agenzia immobiliare. Gli affari sono in ribasso, occorre ridurre il personale, e le nuove disposizioni societarie a riguardo prevedono l’istituzione di una graduatoria che premia coloro che riescono a raggiungere determinati obiettivi. Il primo classificato vince una Cadillac, il secondo un set di coltelli da bistecca, il terzo perde il lavoro! E pare proprio che nessuno degli interessati ci stia a perderlo, il proprio lavoro…
In questo nostro sguardo ad “Americani”, abbiamo voluto iniziare menzionando colui che possiede molto del merito per il giudizio estremamente positivo che questa pellicola ottiene, David Mamet appunto, che ha messo nelle mani del regista James Foley un piccolo gioiello di sceneggiatura. Una sceneggiatura che in questo caso specifico non è nient’altro che il film in se stesso, per il semplice fatto che stiamo parlando di un prodotto che si regge interamente sui dialoghi, ma che proprio grazie al ritmo e allo spessore dei fraseggi, e a battute taglienti come lame di rasoio, non corre nemmeno lontanamente il rischio di risultare, alla lunga, verboso (e noioso).

Un ambiente predominante (l’ufficio) a fare da teatro alla vicenda, con solo alcuni brevi cambiamenti di luogo. L’azione è implicitamente ridotta all’essenziale, con la recitazione degli attori a permeare ogni fotogramma. Apparentemente, quelle citate potrebbero sembrare caratteristiche da film d’altri tempi, non certamente in linea con le tendenze cinematografiche dell’ultimo decennio, o con le esigenze del pubblico attuale. Eppure, questa è un’opera in grado di attrarre magneticamente a sè lo spettatore che si conceda alla visione senza preclusioni, che sappia semplicemente ascoltare ed osservare.

Il tema della convivenza e della concorrenza, quasi spietata, fra individui che devono coesistere in un ambito di lavoro competitivo, viene trattato in maniera estremamente brillante ed efficace da questo film, che in un’ora e quaranta minuti di proiezione riesce a mostrarci perfettamente le dinamiche che, quasi inevitabilmente, si innescano in quei contesti lavorativi – tipicamente americani – in cui nessuno può permettersi di ridurre il proprio livello di efficienza. Pena il licenziamento immediato. I personaggi che ci vengono proposti appartengono alla categoria dei venditori di beni immobili – principalmente lotti di terreno – che ogni volta che non riescono a concludere una vendita perdono inesorabilmente punti agli occhi dei superiori.

L’imperativo è ‘chiudere’. Sempre e ad ogni costo. Non ci sono scusanti per chi non ci riesce. I colleghi sono tali solo di nome, in realtà sono rivali, e chi non riesce a tenere il passo degli altri rischia di venire ‘appiedato’. Dai bellissimi e pungenti dialoghi messi in bocca agli ottimi personaggi di “Americani” traspare perfettamente il disagio, le preoccupazioni e il logorio che una simile realtà professionale può provocare in chi non può permettersi di perdere il proprio impiego; magari in chi un tempo il proprio lavoro riusciva a giostrarselo senza problemi (lo Shelly Levine interpretato da un grande Jack Lemmon), ma negli anni sembra aver perso il tocco magico, e ora rischia di essere accantonato senza riconoscenza per quanto fatto in passato. Anche perchè è a gente come Ricky Roma (impersonato da un’altrettanto bravo Al Pacino), dalla personalità e dal carisma strabordanti, che sono destinati i ‘contatti’ migliori. Gli altri devono cercare di ottimizzare ciò che resta.

I personaggi di questo film agiscono e reagiscono come probabilmente farebbe molta della gente comune, e gli autori sono stati davvero bravi nel rendere il loro mondo così “reale”, così “vero”; sulla base di una sceneggiatura di rara qualità, nella quale ai personaggi stessi vengono associate alcune frasi ed espressioni che ricorrono più volte (tipico dello stile di Mamet), rendendoli in questo modo ancor più verosimili, e facendo conseguentemente sì che il pubblico sia portato ad interessarsi maggiormente del loro destino.

Gli attori forniscono una prova collettiva davvero magnifica, anche perchè molto probabilmente sono stati ingaggiati i migliori interpreti possibili per quei ruoli. Benchè Pacino si sia guadagnato con assoluto merito una nomination all’Oscar per la sua interpretazione, personalmente ritengo che Jack Lemmon abbia offerto un’incredibile prova d’attore, che avrebbe meritato altrettanta considerazione da parte dell’Academy. Ma ottimi anche Ed Harris, Kevin Spacey, Alan Arkin e lo stesso Alec Baldwin.

Davvero un bel film, “Americani”. Semplice nella struttura, essenziale nella regia, ma efficace come pochi. Un film diretto e concreto, raffinato ed elegante. Una gemma che merita assolutamente l’attenzione di tutti gli amanti del cinema di qualità.

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