L’ennesimo attentato scuote il centro di Gerusalemme. Tra i cadaveri c’è quello di una donna senza documenti. I suoi resti giacciono per oltre una settimana nell’obitorio senza che nessuno chieda di lei. Della sua vita si sa solo che si chiamava Yulia, che era arrivata da poco in città e che lavorava in una fabbrica. Non potendo accusare altri, la stampa israeliana si lancia in un linciaggio mediatico nei confronti dell’azienda per la quale lavorava, rea di non essersi interessata dell’assenza della sua dipendente. Per dimostrare che i suoi datori di lavoro non hanno avuto una crudele mancanza di umanità, il responsabile delle risorse umane deve rimediare al danno. Il suo compito sarà quello di riportare il corpo della ragazza al suo paese di origine in un viaggio che lo costringe a confrontarsi con il lato più profondo del suo animo per trovare lo stimolo per continuare a vivere.In un periodo di crisi strutturale, il tema del lavoro diventa fondamentale anche nelle narrazioni cinematografiche. Se poi la crisi non è solo economica, ma come in Israele abbraccia anche la politica e la religione, allora diventa un tema cruciale con cui sembra necessario confrontarsi per riflettere sulla realtà contemporanea. Il mestiere del responsabile delle risorse umane di un’azienda ha paradossalmente un ruolo fondamentale, poiché da lui dipende la costruzione di uno staff funzionale al buon andamento di un’azienda, ma al contempo ha in mano il futuro delle persone che da essa sono dipendenti. Per adempiere a questo ruolo però è necessario un certo distacco, altrimenti il coinvolgimento rischia di minarne l’equilibrio. Il responsabile delle risorse umane, di cui non conosciamo il nome (Mark Ivanir) si è però costruito una scorza troppo dura che rischia di non essere più in grado di valutare la prospettiva dei propri dipendenti. Il viaggio verso il paese natale della ragazza, un villaggio sperduto nella Russia innevata, sarà un’occasione per ritrovare se stesso.