C’era una volta la città delle maschere in cui ogni abitante ogni tanto indossa la maschera di qualche altra persona per conoscerla meglio, per capirla meglio. E cominciano a fare questo già da bambini. Appena un bambino nasce alla mamma viene regalata la maschera del suo bambino che una volta indossata le consente di capire il significato del pianto del suo piccolo.
E più la mamma indossa la maschera del suo neonato e più riesce a capirne le esigenze. Il bambino cresce e si sente capito, compreso e crescendo impara anche lui a indossare la maschera del fratellino o della sorellina, del nonno o della zia. Man mano che cresce viene invitato a indossare la maschera dei compagni di scuola e degli insegnanti, soprattutto quando questi desiderano che studi e si applichi per dare il meglio di sé.
In questo paese quando si crea un’incomprensione profonda tra due persone ognuno viene invitato a indossare la maschera dell’altro così può capire il suo mondo dall’interno dei suoi pensieri, per vedere il mondo dal suo punto di vista. E questo crea nel paese una tale comprensione di ciascuno nei confronti degli altri che rende più facile il dialogo, il confronto e il riconoscimento delle differenze.
Il marito è invitato a indossare la maschera della moglie e viceversa, così ognuno ha un’idea più chiara dei vincoli del ruolo, delle incombenze, delle fatiche di ciascuno e che l’altro non può altrimenti capire. E prima di intraprendere un lavoro ognuno è invitato a indossare per un po’ la maschera di un professionista del settore, così sperimenta cosa pensa, come si comporta, cosa deve sapere e saper fare chi esercita quel mestiere.
Giardinieri, principesse, porcospini
Consuelo Casula