Secondo un docente di Manchester, Guy Deutscher, ogni lingua “dipinge” il mondo in un modo diverso, e chi ne usa due cambia additittura modo di pensare nel passare da un idioma all’altro. Con buona pace delle teorie di Noam Chomsky.Se proprio dovete farvi tamponare, ricordate che con i testimoni per l’assicurazione vi andrà meglio a Londra che a Tokyo. I giapponesi infatti non hanno buona memoria nel ricordare i responsabili di eventi accidentali. Lo ha scoperto Caitlin Fausey, psicologa della Stanford University, mostrando video con vari incidenti a 49 inglesi e 70 giapponesi e interrogandoli poi su colpe e responsabilità. Il fatto è che in lingue come il giapponese, o anche lo spagnolo – ma non l’inglese – quando si descrivono eventi fortuiti, il soggetto della frase non è, di solito, chi li ha provocati. Per esempio, invece di “ho rotto il vaso” si dice “il vaso si è rotto”. “La lingua non ci aiuta solo a esprimerci: le nostre parole – entro certi limiti – arrivano a plasmare i nostri pensieri” ci spiega Guy Deutscher, docente di linguistica all’Università di Manchester e autore di La lingua colora il mondo: come le parole deformano la realtà (Bollati Boringhieri, pp. 288, euro 20). “Per quasi mezzo secolo l’idea teorizzata da Noam Chomsky che il linguaggio fosse innato, cioè in qualche modo inscritto nel nostro Dna, ha avuto grande seguito. I chomskiani considerano le lingue, in sostanza, come dialetti di un unico linguaggio universale. Oggi sempre più studiosi pensano invece che l’idea della lingua innata sia superata. Per Chomsky i bambini imparano la grammatica anche se nessuno gliela insegna, perché questa è “gia lì”, nelle loro menti. Negli ultimi anni abbiamo al contrario accumulato milioni di ore di osservazioni su come i bambini apprendono, ed è sempre più chiaro che assorbono il linguaggio lentamente e quando sono esposti a tutte le informazioni di cui hanno bisogno”.Inoltre, se fosse vero che la struttura del linguaggio è codificata nel nostro Dna, tutte le lingue dovrebbero avere la stessa struttura. Ma ormai sappiamo che non è così.La scienza della “tipologia linguistica”, che studia e compara i linguaggi, inclusi quelli di piccoli gruppi umani che vivono in posti remoti, mostra che tra le lingue possono esistere differenze strutturali molto profonde. “E a ogni lingua corrisponde un modo di pensare e rapportarsi col mondo” dice Deutscher. “Per esempio, i membri della tribù amazzonica dei Pirahã, parlando una lingua dove non esistono i numeri ma si distingue solo tra “uno”, “due” e “molti”, hanno forti difficoltà nel tenere traccia delle quantità”.
Lera Boroditsky, psicologa della Stanford University, ha compiuto esperimenti su soggetti bilingui mostrando addirittura che, quando passano da una lingua all’altra, pensano in maniera differente. E lo stesso ha fatto Shai Danziger, della Ben Gurion University di Negev: i soggetti bilingui arabo-ebraici che ha esaminato tendevano ad associare più facilmente qualità positive a un nome proprio israeliano quando parlavano in ebraico, rispetto a quando citavano lo stesso nome israeliano parlando in arabo. E viceversa.Ma, implicazioni ideologiche a parte, in che modo le diverse lingue cambiano la percezione di uno stesso concetto? “Se in una lingua un oggetto è di genere maschile, come sole in italiano, gli vengono associate facilmente proprietà maschili, come la forza. Se lo stesso oggetto diventa femminile, per esempio Sonne in tedesco, gli si attribuiscono più spesso qualità muliebri, come la bellezza.
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