In un villaggio che sorgeva lungo le rive del Grande Fiume, nacquero, a pochi giorni l’uno dall’altro, da madri amiche sin dall’infanzia, due figli, ambedue maschi.
Un vecchio sapiente, che andò a visitarle, predisse loro che i due figli sarebbero diventati grandi condottieri di eserciti.
E così i figli crebbero e, sempre di più, impararono l’arte del combattimento.
Le due madri si accorsero ben presto che, quello che il sapente aveva loro predetto, si sarebbe avverato e mandarono i due giovani in una scuola per imparare a combattere e dirigere i combattimenti.
Come la predizione aveva annunciato, i due divennero grandi condottieri e il Re, che allora governava su tutte le terre circostanti, fu felice di averli al suo servizio. Così uno fu mandato a sorvegliare le frontiere a sud, e l’altro quelle a nord, verso la foce del Grande Fiume.
Passarono così molti lunghi anni.
Il primo, nel suo comando, aveva imparato a conoscere uno ad uno tutti quelli che componevano l’esercito. Le lunghe chiacchierate con loro, il guardarli mentre si preparavano per la battaglia, avevano fatto si che egli potesse continuamente comprendere dove fosse più saggio collocare ognuno dei suoi soldati.
Il secondo, invece, divenne un grande esperto di strategie: aveva imparato a vedere da dove il nemico sarebbe arrivato, come disporre l’esercito e come contrattaccare, anche nella battaglia più difficile da vincere.
Così ambedue, nel campo, si erano guadagnati onore e gloria.
Accadde che, dopo molto tempo, contemporaneamente, le madri dei condottieri si ammalassero ed essi furono avvisati di questa malattia che, per la gravità, richiedeva la loro presenza; e, così, ambedue si recarono dalle madri, venendo uno da nord e l’altro da sud e ognuno lasciando il più fidato dei suoi a condurre gli eserciti.
Il primo, al momento di lasciare il suo esercito, parlò a tutti dicendo loro che, per quel momento, ognuno era nel posto giusto; quindi, disse loro di aspettarlo e che tutto sarebbe andato bene. Il secondo parlò invece alla persona che aveva lasciato al posto suo e disse: “Combatti solo se è necessario, arriverò in breve, preferisco farlo io”.
E così andarono dalle madri che vivevano vicine e si rincontrarono. Dopo tanti anni lontani, iniziarono a parlare dei loro rispettivi eserciti e si trovarono a parlare di cose che, pur conoscendo bene, sembravano loro estranee.
Il primo raccontò del suo osservare i suoi uomini, del suo assegnare ad uno ad uno il posto giusto. Soprattutto, parlò del fatto che qualsiasi cosa accadesse al campo egli ne veniva a conoscenza e poteva vedere quale uomo migliore in quel momento poteva stare nei posti più difficili.
Il secondo, quasi deridendolo, disse: “Tu come una comare ti occupi di guardare anche i litigi stupidi di due soldati fra di loro e non studi la strategia della guerra, non studi con quale schema mandare in battaglia i tuoi uomini, non cerchi di capire come puoi oltrepassare un fiume, come costruire un ponte; ma tu sei un soldato o no?” Il primo rimase un po’ attonito a quello che gli veniva detto e, comunque, abbozzò un sorriso e non parlò più.
Il tempo passò, in una notte di luna piena, una notte in cui la luna era particolarmente grande e pareva particolarmente assetata di vita, tutte e due le madri morirono e tutti e due i figli decisero che, dopo la morte, sarebbero tornati ai loro eserciti.
Il primo arrivò e vide che, all’apparenza, tutto era perfettamente a posto. Ma sembrava che qualcosa si fosse sgretolato: nulla stava funzionando nel giusto modo. Nessuno comprendeva veramente cosa facesse in quel ruolo, così come la persona che aveva preso il comando. Il nemico incuteva paura e tutti si sentivano allo sbando.
Il secondo, pieno della sua conoscenza delle strategie, tornò e, anche lui stupito, si accorse che le poche scaramucce e battaglie che vi erano state erano state perse, che l’uomo che aveva messo al comando non aveva saputo fare quello che doveva.
Anche se lontani, contemporaneamente, ambedue i comandanti, dispiaciuti e tristi, ritornarono alla loro casa natale e decisero di non fare più della guerra e della battaglia la loro soddisfazione di vita.
Sauro Tronconi
da “I racconti del grande fiume”