“E’ più facile perdere un regno che un’abitudine!” ha detto Enrico IV.
Aveva ragione: le abitudini, soprattutto quelle cattive, sono dure a morire e la formazione serve proprio a superare questa resistenza.
Se non c’è cambiamento, a che cosa è infatti servita la formazione? A nulla! Probabilmente, se non si notano risultati concreti, non è stato compiuto un vero e proprio processo formativo: si è tentato di informare, di acculturare, di sensibilizzare, ma non c’è stata formazione.
L’obiettivo della formazione, almeno di quella comportamentale che opera nello sviluppo delle capacità di vendita e di management, consiste nel modificare i comportamenti delle persone, il loro modo di relazionarsi agli altri, il loro modo di essere.
Non si tratta dunque soltanto di influire sull’incremento delle loro conoscenze di tipo tecnico, ma di indurle innanzitutto a riflettere sul modo in cui vedono la realtà , su come vivono e interpretano le situazioni, sul tipo di atteggiamento che assumono nei rapporti con le persone.
Si tratta di un processo non breve, faticoso e profondo che, in quanto tende a modificare i comportamenti e ad instaurarne di altri più duraturi, deve prima e necessariamente modificare le immagini mentali.
Infatti solo laddove la persona riflette sul proprio modo di atteggiarsi verso la realtà e verso gli altri, è possibile una decisione forte, spesso definitiva, in favore di comportamenti diversi e migliori.
Prendere questa decisione equivale a piantare un seme; occorre poi che la pianticella che nascerà sia coltivata e protetta con amore e che il terreno, fattore per niente secondario, sia di buona qualità.
Coltivare la pianta con amore significa allenarsi nel mantenere viva la capacità di riprodurre nella realtà i comportamenti acquisiti durante la formazione e rivelatisi efficaci nella sperimentazione, fino al punto in cui essi, oltre che dimostrarsi sempre più efficaci, diverranno sempre più spontanei. Trovare il terreno giusto significa avere, nella quotidiana operatività professionale non solo gli stimoli a mettere in pratica quanto appreso, ma almeno la possibilità di farlo.
E qui entra in gioco il ruolo del capo.
Paradossalmente sono talvolta gli stessi capi a demolire, anche in buona fede e tuttavia senza nulla togliere alla gravità del danno, i risultati della formazione dei loro diretti collaboratori.
Il terreno che i collaboratori trovano, tornando da un training di formazione, non è sempre quello più adatto a mettere in pratica quanto appreso e questo per varie ragioni:
” il capo, non avendo consapevolezza del tipo di esperienza vissuta dal collaboratore, assume comportamenti che spesso vanno nella direzione opposta a quanto egli ha appreso;
” il collaboratore, man mano che la sua formazione prende spessore, assume strategie di pensiero che non trovano riscontro nelle direttive del capo ed anzi sono talvolta in aperta contraddizione;
” il capo, rendendosi conto di tutto ciò, può subire la tentazione di delegittimare con il collaboratore i contenuti della formazione nella quale pure ha investito, provocando in lui un danno più forte, in termini di confusione e disorientamento, di quello che avrebbe prodotto non facendo nulla; ” il collaboratore mette in discussione la coerenza del capo, perde la fiducia in lui e il clima diventa pesante;
” il collaboratore, nella migliore delle ipotesi, apprezza quanto ha ricevuto dalla formazione come contributo al suo arricchimento personale, ma pensa che non possa essere inscritto nell’economia della sua realtà aziendale. E’ ciò che accade quando il formatore, verificando i risultati ottenuti sul campo, si sente dire: “Belle cose, ma nella mia realtà non possono funzionare”. Di fatto non possono funzionare perché non possono essere sperimentate.
Ecco che quello che avrebbe dovuto essere un investimento, si è trasformato in un puro costo senza ritorni ed anzi con qualche danno di non poca entità.
E allora, che fare per evitare tutto ciò?
Come tutelare l’investimento fatto in formazione?
Il miglior modo per garantirsi i risultati attesi da un programma di formazione consiste nel prendere parte al programma, farlo “partire dall’alto” coinvolgere il capo in prima persona.
Con quale formazione? Con un programma che, mentre il collaboratore sta sviluppando le sue capacità di vendita, sviluppi le sue attitudini manageriali (e ciò indipendentemente dal numero di collaboratori che dirige) e che gli consenta di:
- acquisire consapevolezza dei comportamenti richiesti oggi da una leadership che voglia essere efficace credibile;
- motivare i suoi collaboratori al raggiungimento di obiettivi ambiziosi;
- introdurre un metodo e uno stile di lavoro comuni nel quale capo e collaboratore possano identificarsi e riconoscersi;
- valutare le attitudini e le potenzialità di ogni singolo collaboratore;
- apprendere a delegare;
- apprendere a gestire il suo tempo, ad organizzarsi e ad organizzare l’attività dei suoi collaboratori;
- controllare consapevolmente i risultati;
- condurre riunioni motivanti e soprattutto produttive;
- saper riconoscere ad ognuno il giusto merito;
- avere il coraggio di affrontare e sanare situazioni che richiedono di essere modificate;
- acquisire un linguaggio comune con quello dei collaboratori che ha mandato a formarsi, in modo tale da sviluppare sinergie di un’efficacia prima impensabile.
Se tutto ciò non accade, se il capo non valuta, non controlla, non ha il coraggio di delegare, non loda, non programma, non motiva e soprattutto se non fa tutto questo nel giusto modo, come è pensabile attendersi che la formazione dei collaboratori produca i risultati attesi?
La ragione per cui talvolta anche i migliori corsi di formazioni non danno risultati va ricercata proprio in quello che possiamo definire “un cammino percorso a metà”.
Oggi la leadership non si fonda più sull’esperienza, ma sulla capacità di rinnovarsi.
La capacità di apprendere delle persone e delle organizzazioni è l’unico vantaggio competitivo seriamente difendibile e non vi è chi, in qualsiasi organizzazione, possa pensare di non averne bisogno.
Non per essere migliori, più completi o più buoni, ma semplicemente per sopravvivere.