Parola d’ordine: vendere sempre di più.
Tre agenti di commercio a caccia di un ricco cliente si confrontano in un film che fa riflettere. Con Kevin Spacey.
“Il venditore è il primo gradino della scala che porta al sogno americano”. Parola di John Dos Passos. A questa singolare figura, prodotto spicciolo di un sistema fondato sui commerci e sul libero scambio, hanno dato corpo e spessore commedie come Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller e Americani di David Mamet. Su questo personaggio emblematico torna ora John Swanbeck con The Big Kahuna, tratto dal romanzo Hospitality Suite di Roger Rueff, da lui già portato in scena a Chicago. Fra gli spettatori della riduzione teatrale c’era il due volte Oscar Kevin Spacey, che ha prodotto il film the big Kahuna e a chiamato a dirigerlo.
Ma che è “Il Grande Kahuna” del titolo? E’ il magico stregone dei Mari del Sud che nel gergo dei venditori incarna l’agente di fronte al quale tutti si inchinano per capacità professionali e superlative tecniche di convincimento.
Una specie di grande Kahuna si ritiene Larry (Kevin Spacey), venditore consumato che non si arrende mai e mira a battere i suoi stessi record. Cinico, spavaldo e strafottente, obbedisce a un solo comandamento: vendere sempre di più.
Insieme con due colleghi, Larry si è dato appuntamento nella squallida suite di un albergo del Midwest; c’è una convention e il loro obiettivo è quello di agganciare un potenziale cliente e concludere con lui un affare importante per conto della compagnia per cui lavorano. I due compagni di squadra di Larry sono Phil (Danny De Vito) e Bob (Peter Facinelli). Phil è un uomo stanco che comincia a interrogarsi sul significato della vita, della morte, dell’esistenza di Dio.
Bob, invece, è un giovane di assolute certezze, tutto d’un pezzo, ossessionato dal rigore morale ma privo di umanità e di apertura verso il prossimo.
Sarà proprio Bob, conversando di argomenti religiosi, a contattare inconsapevolmente il ricco cliente al quale Larry sta dando una caccia serrata….
Il film ricalca rimpianto teatrale e si regge sul serrato confronto fra i tre personaggi.
Un confronto che si riverbera sul piano interpretativo fra Kevin Spacey e Danny De Vito, entrambi bravissimi a disegnare il ritratto dell’americano medio, con il suo conformismo e i suoi tentativi di evasione.