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Baseball, la lezione americana – Una stretta di mano cancella l’errore


La scena si è ripetuta ai premi Espys: Armando Galarraga, gran lanciatore dei Detroit Tigers, ha stretto sinceramente la mano all’uomo che lo ha cancellato dalla storia del baseball. Con un errore clamoroso gli ha impedito di chiudere il suo ‘perfect game’. Già, la partita perfetta. Il massimo, insomma.
Eppure Armando è comparso vicino a quell’arbitro, Jim Joyce. Sorridente e rilassato. E nessuna sceneggiata ad uso di telecamere e fotografi presenti alla serata della Espn dove si assegnano gli oscar dello sport mondiale. Tutto vero, anche se può sembrare impossibile.
D’altronde la pace era scoppiata quasi subito dopo quella chiamata assurda, ingiusta, sbagliatissima. E se questo può apparire inverosimile nel nostro calcio, bisognerà ammettere con molta umiltà e senso critico che negli States esiste una cultura sportiva superiore.
I fatti.
Mercoledì 2 giugno Galarraga ha eliminato ventisei battitori dei Cleveland Indians ed è all’ultimo lancio. La partita perfetta è lì, dietro l’angolo, dipende solo dalla sua abilità. Per capire la qualità dell’impresa che Armando sta per tentare basti dire che la cosa è avvenuta soltanto in venti occasioni in più di un secolo di vita della Major League di baseball. Il suo team poi, i Detroit Tigers, non hanno mai avuto tra le loro fila un pitcher che elimina tutti senza subire battute valide.
Grande attesa, Armando non delude. Sulla battuta di Jason Donald  la palla è raccolta da Cabrera che lancia su Galarraga. Scatto fulmineo in prima base, è fatta: Donald è in ritardo, out, eliminato. Partita perfetta.
Ma qui il signor Jim Joyce la combina davvero grossa, urla un “salvo” che non sta né in cielo né in terra. Niente perfect game. Lo stadio è sconvolto ma, attenzione, si limita a fischiare. Nessun oggetto lanciato dalle tribune. Men che mai invasioni di campo o simili. Solo disapprovazione sonora.
Tutti hanno visto tranne l’arbitro. Un errore pazzesco, evidentissimo. Certificato dal replay. E, per giunta, un errore indimenticabile, perché priva il lanciatore venezuelano 28enne di un primato inseguito per una vita, qualcosa che lo avrebbe reso un “immortale” del baseball.
Da questo momento in poi, però, avvengono una serie di vicende molto positive. Da raccontare nelle scuole per seminare i concetti dello spirito sportivo e del “tutti possono sbagliare”, siamo esseri umani.
Galarraga non ha aggredito l’arbitro sul campo. Non lo ha fatto neppure verbalmente poi. Si è limitato a dire: “Il signor Joyce stia tranquillo, capita a tutti di commettere errori, no?”. E lui, il signor Joyce, rivista in tv la partita ha confessato pubblicamente: “Lo ammetto era un perfect game e io di fatto lo ho sottratto al giocatore, sono avvilito, eppure ero concentrato e capivo l’importanza del momento. Mi spiace moltissimo. Ho sbagliato”.
Il giorno dopo arbitro e giocatore si sono rivisti sul campo. Armando ha stretto la mano a Joyce, che quasi piangeva per la commozione e la consapevolezza dell’errore compiuto. La scena si è ripetuta nella notte degli Oscar Espn.
Che dire? Basta un superlativo: bellissimo, quando lo sport è scuola di vita. Mettendo da parte ogni presunzione, magari il calcio delle polemiche e dei veleni guardi anche al baseball per migliorare attitudine e comportamento…

 

Giovanni Marino
La Repubblica – 21 luglio 2010

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