La nostra terra sembra diventata improvvisamente piccola, non soltanto perché tra pochi anni gli esseri umani che la abiteranno saranno così numerosi da trovare difficoltà perfino a reperire un bene prezioso come l’acqua, ma anche perché le distanze si sono drasticamente ridotte.
Intraprendere un viaggio verso gli Stati Uniti o il Giappone solo ottanta anni fa era un’impresa non priva di rischi che durava diverse settimane, roba da ricchi con tanto tempo e molto denaro a disposizione oppure da poveri con parecchia fame e viva disperazione.
Oggi i mezzi di trasporto supertecnologici e potenti ci consentono di arrivare in ogni parte del mondo in meno di quarantotto ore, superando a novecento chilometri orari frontiere, catene montuose, deserti, oceani e condizioni atmosferiche avverse.
Chi non si vuole prendere il disturbo di preparare i bagagli e salire su un aereo o su un treno, può sempre viaggiare virtualmente standosene comodamente seduto sulla poltrona di casa ed ammirare nello schermo del proprio computer o della TV paesaggi e città lontane, ascoltandone i rumori e le musiche.
Il web ci offre la possibilità di far entrare un intero museo nella nostra casa, muoverci nei suoi corridoi a colpi di mouse, leggere le biografie degli autori e contemplare i capolavori esposti ammirandoli molto più da vicino di quanto non potremmo fare dal vero.
Il mondo sembra piccolo se non alziamo gli occhi dal nostro computer, dal giornale o dai documenti che abbiamo tra le mani, diventa addirittura insignificante se ci spostiamo sempre di fretta, guardando ciò che ci circonda senza vederlo e dimenticando che la realtà di tutti i giorni è ricca di avvenimenti e incontri sorprendenti ed entusiasmanti, dei quali spesso nemmeno ci accorgiamo.
Tutto torna ad essere sconfinato ed eccitante quando spalanchiamo gli occhi e come da bambini ed iniziamo a guardarci intorno con curiosità, recuperando il senso della sorpresa e della meraviglia, non solo per i grandi avvenimenti, ma anche per quelli quotidiani come un sorriso, uno sguardo, la sfumatura di un colore della natura o un suono piacevole.
Essere curiosi è dunque una buona qualità da sviluppare, ci aiuta ad aprirci al mondo e agli altri?
Erich Fromm descrive così gli individui curiosi:
“La persona curiosa è fondamentalmente passiva. Vuole conoscere e provare sensazioni e non può mai essere sazia, poiché la quantità di informazioni sostituisce la profonda qualità della conoscenza. La curiosità, per sua natura, è insaziabile perché, a parte la sua maliziosità, non risponde mai al quesito ‘chi è l’altro?’”.
Se vogliamo entrare in contatto pieno con il nostro tempo e le persone che vi transitano, anziché curiosare superficialmente possiamo coltivare l’interesse.
Interesse significa etimologicamente ‘essere fra’, cioè dischiudersi agli altri con pienezza emotiva e di sentimenti.
Ecco quattro condizioni utili per “vivere ed aprirci pienamente agli altri”:
Prima di tutto ricordarsi di non dare per scontata la difficoltà e l’ambivalenza della comunicazione, non renderla banale come se fosse una cosa normale ma vivere e dare valore al miracolo dell’incontrarsi e del capirsi.
Quando ci relazioniamo con una persona oltre a scambiarci vocaboli, pensieri ed emozioni, entriamo in contatto con il suo mondo, ci avventuriamo in un terreno complesso in parte inesplorato e spesso sconosciuto addirittura a chi lo abita.
Non dimentichiamoci che l’altro è differente da noi, ha una visione delle cose non sempre sovrapponibile alla nostra, probabilmente guarda la realtà attraverso le personalissime lenti del suo vissuto, delle sue conoscenze, dei suoi valori e delle sue convinzioni.
Alleniamoci ad essere flessibili, a metterci in discussione prendendo in considerazione il punto di vista del nostro interlocutore e sforzandoci di capire le sue ragioni.
Il secondo fattore è legato alla nostra capacità di osservare l’altro in modo intenzionale, cogliendo le variabili verbali e non verbali, il grado di congruenza del messaggio, le parti che si contraddicono ma, soprattutto, comprendere come l’altro percepisce in quel momento la relazione con noi.
Spesso durante un incontro utilizziamo solo il canale uditivo, dimenticandoci che la maggior parte dei messaggi ci viene trasmessa con altre modalità.
Se proviamo ad ascoltare l’altro non solo con le orecchie, ma anche con gli occhi ci accorgiamo presto che il corpo del nostro interlocutore comunica continuamente e ci invia una quantità enorme di informazioni provenienti dal profondo e quindi più genuine e spontanee che possiamo decodificare ed incrociare con le parole che sta pronunciando, per meglio comprendere il suo pensiero.
Aumentiamo la nostra sensibilità, esercitandoci per qualche minuto al giorno ad osservare i segnali non verbali delle persone che s’incontrano e interagiscono in occasione di eventi sociali, nei luoghi di lavoro o nelle sale d’attesa. Senza ascoltare le loro parole analizziamo il linguaggio del corpo e proviamo ad associarlo al sentimento che stanno esprimendo come la rabbia, la felicità, l’impazienza o il desiderio.
Nel one-to-one abituiamoci a guardare attentamente il nostro interlocutore, le sue espressioni, il suo sguardo, i suoi gesti, la sua postura, i suoi piedi, a cogliere le sfumature nel tono di voce ed i cambi di ritmo dell’eloquio, utilizziamo questa grande quantità di messaggi che ci invia per meglio comprende il significato più intimo della sua comunicazione.
Il terzo elemento è sforzarsi di non dare soluzioni alle persone che ci stanno raccontando un loro problema, una loro preoccupazione o la giornata appena trascorsa, poiché spesso hanno solo bisogno di sfogarsi o di chiarirsi le idee.
Lasciarli parlare, inviando loro segnali d’ascolto, li aiuta a visualizzare il problema da un altro punto di vista, fornisce loro una prospettiva differente facendo, a volte, germogliare intuizioni e alternative creative.
Spesso la soluzione del problema è già dentro di loro e parlare con qualcuno che sa ascoltare davvero è il primo passo per trovarla.
Se questo prodigio accade, possiamo aiutare il nostro interlocutore a trasformare le idee risolutive in azioni concrete formulando delle domande che lo aiutino a costruirsi un piano d’azione riguardante le cose da fare, quando iniziare a farle, le scadenze da rispettare, le persone da coinvolgere e le risorse da reperire.
Addestriamoci a non interrompere, a non dare soluzioni pensando al nostro vissuto ma stimoliamo il nostro l’interlocutore ad osservare la situazione che ci sta illustrando da un altro punto di vista, chiediamogli di immaginare quale consiglio darebbe a una persona che sta esponendo un problema simile al suo.
La quarta, ultima e forse più importante condizione è saper ascoltare profondamente le persone che incontriamo tutti i giorni lungo il cammino della nostra esistenza, cosa non facile poiché la strada del quotidiano è molto rumorosa, spesso troppo affollata, qualche volta buia e molti vi transitano a gran velocità.
Si è soliti pensare che ascoltare sia un’azione spontanea che non necessita di formazione e di pratica per essere esercitata in modo eccellente.
E’ davvero così?
Quanti particolari ricordiamo di un racconto che abbiamo ascoltato due giorni fa da un collega o da un amico?
Ci capita di dimenticarci il nome di una persona che si è appena presentata, pronunciandolo chiaramente solo pochi istanti prima?
Quante volte, mentre parliamo, abbiamo la sensazione che la mente del nostro interlocutore sia altrove anche se il suo corpo e le sue espressioni dimostrano attenzione ed interesse?
L’ascolto pieno si realizza solo quando il focus dell’attenzione e del coinvolgimento è totalmente sul nostro interlocutore in tutta la sua persona, teniamo sempre a mente che al centro della conversazione non ci siamo noi ma c’e lui.
Ascoltare in modo profondo chi entra in contatto con noi significa anche sintonizzarsi con le sue emozioni ed i suoi sentimenti, sentendo la sua gioia e il suo dolore come lui li sente e vivendoli come se noi fossimo felici o addolorati.
Significa mettere da parte le nostre convinzioni e i nostri valori personali ed entrare nel mondo dell’altro senza pregiudizi e preconcetti, ipotizzando che l’altro ha ragione a priori, sposando le sue obiezioni senza cercare a tutti i costi di smontarle e facendoci chiarire bene il suo punto di vista.
Come dicono gli inglesi “walking a mile in his shoes”, cammina per un miglio nelle sue scarpe, senti quello che sente lui nei tuoi piedi, nelle tue gambe nella tua mente e nel tuo cuore.
Significa sgombrare la propria mente da qualsiasi pensiero, zittire le voci che si sviluppano dentro di noi scollegandoci dal qui ed ora, non ragionare sulla cosa da dire quando toccherà a noi parlare, allevare la nostra pazienza resistendo alla tentazione di interrompere e rispettare i break di riflessione della persona che ci sta parlando.
Significa infine confermare la nostra corretta comprensione dell’informazione attraverso la ripetizione sintetica del messaggio.
Formulare domande di approfondimento che sgombrano il campo da possibili equivoci e fraintendimenti, ci aiuta a raccogliere altre informazioni che spianano la strada alla nostra risposta.
Tutto così semplice? Sì.
Tutto così facile da mettere in pratica? Non proprio.
Conviene comunque provarci poiché interessarci all’altro e ascoltarlo profondamente è uno dei migliori regali che possiamo fargli. Come tutti i doni preziosi è costoso e impegnativo, ma proprio per questo ci lega e stimola la sua riconoscenza, ripagandoci spesso con la stessa moneta.
Antonio Zanaboni