L’impegno politico di Gandhi inizia in Sudafrica dopo che è stato cacciato dalla prima classe di un treno perché indiano. Il rifiuto di obbedire alle leggi inglesi si unisce alla scelta della non violenza; finisce anche in prigione. Al suo ritorno in India viene accolto trionfalmente. Forte anche dell’amore della moglie, Gandhi si accolla la missione di strappare i suoi connazionali al dominio inglese…
Mettere su pellicola la vita di una persona è già di per sé un’operazione complessa; se si tratta poi di una delle figure più luminose e significative dello scorso secolo, le difficoltà si centuplicano. Il regista Richard Attenborough, in questa sua colossale ricostruzione della vita del leader spirituale Gandhi, ne è ben consapevole, tanto che nei titoli di testa osserva come quello che vedremo è, volente o nolente, il ritratto parziale di un’esistenza, che si augura però possa portare alla luce almeno un po’ della grandezza del protagonista.
Visto il risultato, vincitore di ben otto premi Oscar, si può dire che l’operazione è riuscita. Attenborough sceglie per questa biografia la via della linearità (il film gioca con il tempo solo nell’incipit, in cui si assiste ai funerali di Gandhi, un po’ come per “Lawrence d’Arabia”) e dell’aderenza storica. Una costruzione dunque tradizionale, che può essere tranquillamente tacciata di didascalismo, ma che nonostante le sue tre ore di durata tiene sempre viva l’attenzione dello spettatore. Riesce in tale intento grazie ad una chiara esposizione dei significativi eventi storici in gioco: dalla lotta contro le discriminazioni in Sudafrica a quella per l’indipendenza dell’India dagli inglesi, che dà vita ad alcune sequenze di grande impatto (il massacro di Amritsar o la Marcia del Sale), ma anche, soprattutto, al magnetismo del suo protagonista, un Gandhi a cui dà anima e corpo un magistrale Ben Kingsley (premio Oscar), che gode anche di una sorprendente somiglianza fisica con il Mahatma. Dalla sua interpretazione fuoriesce tutta la grande forza di volontà di questo “semplice” uomo, i cui insegnamenti, come quello della “non-violenza” (che è il credo più ribattuto durante la pellicola), rimangono tuttora validissimi, visto che non sembrano essere stati assimilati completamente dal genere umano.
La regia di Attenborough è pulita e la sceneggiatura di John Briley concisa; vi è inoltre nel narrato anche una leggera vena di humor assai gradita (guardare i continui arresti di Gandhi), che soffoca la retorica e gli eccessi di patetismo. La confezione è eccellente, così come gli interpreti del cast (fra i più noti Martin Sheen e Candice Bergen); non troppo vibrante invece la colonna sonora. In conclusione, “Gandhi” è un’opera che non ha molte invenzioni e anzi si dipana in maniera classica, ma per narrare la storia di un uomo che dell’umiltà ha fatto un suo credo forse è stata la migliore strada da seguire. La destinazione?
Il cuore e la mente.