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Un’abilità chiamata leadership


Come la maggior parte dei secchioni americani nati nel 1960, ho trascorso parte della mia infanzia a sognare di essere il capitano James T. Kirk, comandante della nave stellare Enterprise. Non vi vedevo nei panni del capitano Pausch, immaginavo un mondo i cui effettivamente io ero il capitano Kirk.
Per giovani ambiziosi con un’inclinazione scientifica, non poteva esserci un modello di comportamento migliore di James T. Kirk di Star Trek.
Credo seriamente infatti di essere diventato un buon insegnante, un bravo collega – forse addirittura un buon marito – studiando il capitano Kirk mentre comanda l’Enterprise.

Pensateci.

Se avete visto il telefilm sapete che Kirk non è il più intelligente sulla navicella spaziale. Il Signor Spock, il primo ufficiale, è di gran lunga il personaggio dall’intelletto più acuto.
Il Dottor McCoy possiede tutta la conoscenza medica disponibile all’umanità nell’anno 2260. Scotty è il capo ingegnere che ha il know-how tecnico per far funzionare la nave, anche quando viene attaccata dagli alieni.

Quindi qual è l’abilità di Kirk? Come può salire a bordo dell’Enterprise e comandarla?

La risposta è una: c’è un’abilità chiamata “leadership”. Ho imparato davvero tanto  osservandolo in azione. E’ l’essenza distillata del manager dinamico, uno che sa delegare, sa ispirare gli grazie alla sua passione, e sta bene nell’uniforme da lavoro. Non ha mai professato di avere capacità superiori a quelle dei suoi subordinati. Sa riconoscere il valore di ciascuno nelle proprie mansioni. Ma è lui a stabilire il punto di vista, il tono. E’ a capo dello spirito collettivo. In più, ha tali qualità da seduttore che può corteggiare le donne di qualsiasi galassia che visita.

Immaginatevi me a dieci anni a casa a guardare la tv dietro le lenti dei miei occhiali. Ogni volta che Kirk compariva sullo schermo per me era veder apparire un dio greco.
E aveva giocattoli davvero straordinari! Quando ero ragazzo trovavo affascinante che Kirk se ne stesse su qualche pianeta con questo aggeggio – il comunicatore di Star Trek – che gli permetteva di parlare all’equipaggio sulla nave. Ora mi aggiro con uno di quegli apparecchi in tasca. Chi si ricorda che è stato Kirk il primo a parlare al cellulare?

Anna fa, ho ricevuto una telefonata (sul mio comunicatore) da un autore di Pittsburgh di nome Chip Walter. Stava scrivendo un libro a quattro mani con William Shatner (alias Kirk) su come importanti conquiste scientifiche inizialmente immaginate in Star Trek anticipassero gli odierni progressi teconologici. Il capitano Kirk voleva visitare il mio laboratorio di realtà virtuale alla Carnei Mellon.

Lo ammetto, il mio sogno d’infanzia era di essere Kirk. Tuttavia l’ho considerato un sogno realizzato quando ho incontrato Shatner. E’ fantastico conoscere il tuo idolo d’infanzia, ma è ancora più inimmaginabile e meraviglioso quando è lui a venire da te per vedere quello che di fantastico fai nel tuo laboratorio.
Io e i miei studenti lavorammo giorno e notte per costruire un mondo di realtà virtuale che assomigliasse al ponte dell’Enterprise. Quando arrivò Shatner, posizionammo su di lui il casco con visore. Aveva uno schermo interno e quando girava la testa si trovava immerso nella realtà a 180 gradi della sua vecchia navicella. “Wow, ci sono anche le porte con alzata turbo” commentò. E avevamo anche una sorpresa per lui: le sirene rosse di allarme. Senza perdere un colpo, gridò: “Siamo sotto attacco!”.
Shatner rimase con noi per tre ore ponendo una miriade di domande. Un collega alla fine osservò: “Continuava a chiedere. Non ci arrivava proprio”.

Io, invece, ero enormemente impressionato. Kirk, o meglio, Shatner era l’ultimo esempio di uomo che sapeva di non sapere, era perfettamente disponibile ad ammetterlo, e non se ne sarebbe andato finché non avesse capito. Per me è eroismo. Vorrei che ogni studente avesse questo atteggiamento.

Durante la cura del cancro, quando mi hanno detto che solo il 3 per cento dei pazienti con un cancro al pancreas vive cinque anni, mi è tornata in mente una battuta di Star Trek. L’ira di Kahn. Nel film, i cadetti della Flotta stellare devono affrontare una simulazione di addestramento in cui, per quanto si prodighino, l’intero equipaggio viene abbattuto. Il film racconta che quando Kirk era cadetto, aveva riprogrammato la simulazione perché “non credeva a una simulazione senza possibilità di vittoria”.

Negli anni, alcuni miei colleghi più disincantati hanno storto il naso per la mia infatuazione verso Star Trek. Eppure fin dall’inizio mi è stata di grande aiuto.

Randy Pausch con Jeffrey Zaslow
da “L’ultima lezione”

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