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Costruire il successo condividendo VALORI, MISSIONE E VISIONE


Nel mio lavoro di consulente aziendale e di trainer ho avuto l’opportunità di conoscere dall’interno centinaia di aziende e di poter constatare come le aziende di più alto successo non sono quelle che hanno i migliori prodotti e neppure quelle che dispongono delle migliori tecnologie o di abbondanza di capitali. Già alcuni decenni fa la cosiddetta “scuola dell’eccellenza” aveva dimostrato come i vantaggi competitivi più efficaci sono quelli che si riferiscono alle componenti soft delle organizzazioni (quelle relative alle capacità e ai comportamenti delle persone: motivazione e coinvolgimento del personale, attenzione al cliente, orientamento ai risultati, alla qualità, al miglioramento costante, eccetera), rispetto a quelle hard (quelle relative ai sistemi organizzativi, ai meccanismi operativi, alle tecnologie, eccetera).
Sulla stessa lunghezza d’onda si sono posti gli studi di De Bono sull’importanza del pensiero laterale e della creatività e quelli di Goleman sulla centralità per il successo dell’”intelligenza emotiva”. Negli ultimi tempi, come evoluzione, completamento e integrazione di tutti questi apporti e in conseguenza delle realizzazioni pratiche da parte delle aziende, si è compreso come, nell’attuale società globalizzata, le metodiche riferite a tali studi ed esperienze, pur ancora del tutto valide, non sono più sufficienti a garantire l’eccellenza ed il successo, né degli individui, né delle aziende, né delle società. Si sta scoprendo che tutte le risorse di tipo soft, pur rimanendo quelle che fanno la differenza rispetto a quelle hard, non sono più sufficienti se non vengono applicate in un contesto di chiarezza di valori, missione e visione.
Oggi, nell’era della super competizione globale, si comincia a comprendere che il cliente non acquista un prodotto o un servizio per il suo valore intrinseco e neppure per l’utilizzo che ne farà, ma per il piacere, la soddisfazione, l’emozione positiva che trarrà dal suo utilizzo e dalla sua fruizione. Si è iniziato a comprendere che ogni acquisto si trasforma in una “esperienza emotiva” che genera un “ricordo emotivo” (conscio o inconscio, consapevole o meno) che può essere negativo o positivo e che sta alla base della “fuga” o del ritorno del cliente. Si tratta quindi di far vivere emozioni ai nostri clienti, far vivere loro esperienze che realizzano i loro bi-sogni. In ogni decisione che prendiamo all’interno delle nostre aziende, è fondamentale tenere presente che tutto ciò che facciamo non è per vendere prodotti (anni 70-80) e neppure per fornire servizi (anni 90). Nella prima decade del terzo millennio tutto il nostro lavoro è finalizzato a soddisfare i bi-sogni dei nostri clienti.
Alcuni anni fa partecipai ad una spedizione per scalare, con alcuni amici, il Monte Kenya. Passammo non ricordo più quante serate a studiare i vari percorsi possibili per arrivare alla base della parete finale, a studiarne i vari passaggi di ghiaccio e di roccia, a discutere sulle attrezzature di arrampicata, sull’abbigliamento e sulle provviste da portare dall’Italia e su quelle da acquistare sul posto. Il risultato fu che spendemmo un capitale per comperare cose che sarebbero poi rimaste inutilizzate nei sacchi dei portatori. Ed eravamo tutte persone esperte e mature. In realtà non stavamo comprando attrezzatura da montagna, STAVAMO COMPRANDO SOGNI.
E soddisfare un sogno è molto di più che fornire un prodotto o un servizio. Un’esperienza è molto di più di un prodotto o di un servizio. Un prodotto e un servizio sono cose, fatti, accadimenti, transazioni, affari, denaro… Un’esperienza che soddisfa un sogno è un’emozione, un vissuto che vale la pena ripetere, è un’avventura che vale la pena vivere, è un viaggio che ci gratifica e ci dà piacere e, proprio per questo, vale la pena percorrere e ripercorrere.
La Harley-Davidson vendeva motociclette e dopo decenni di successo ebbe un pauroso declino, surclassata dalle moto dei colossi giapponesi. Poi, continuando a costruirle, smise di vendere motociclette, per passare a vendere “The Rebel Lifestyle”. Nei manifesti che reclamizzano le sue moto leggiamo: “Ciò che vendiamo è la possibilità per un “anziano” contabile di 43 anni, vestito in tuta di pelle nera, di guidare attraverso piccole città e di essere rispettato dalle persone”.
La Ducati, da qualche anno, ha deciso di presentarsi sul mercato non più come azienda meccanica, ma come “entertainemet company”, trasformando le sue concessionarie in “Ducati Store”, presso i quali i “bikers” possono trovare spazi dove incontrarsi, fare progetti, scambiarsi esperienze fatte o da programmare, acquistare ogni tipo di componenti, attrezzature, gadget…
Alla luce di analoghe esperienze fatte da aziende di altri settori merceologici ed anche da aziende di servizi, si sta comprendendo che non solo è vincente la possibilità di soddisfare bi-sogni individuali, vissuti attraverso l’esperienza emotiva derivante dalla fruizione individuale, ma ancor più entusiasmante è la possibilità offerta ai clienti di condividere emozioni e passioni, di sperimentarle e viverle insieme ad altre persone, che partecipano alle stesse emozioni e passioni. Gli esperti di marketing ci hanno insegnato a suddividere i clienti per classe di età, sesso, scolarità, reddito, eccetera; non ci hanno mai detto di classificarli per le varie tipologie di emozioni che possono provare. Eppure oggi incominciano ad affermarsi le aziende che riescono a stabilire forti legami emotivi non solo con i loro clienti, ma anche tra i loro clienti, fino a costituire una vera e propria “tribù”.
La tribù è un gruppo di persone (di cui alcune all’interno dell’azienda: la proprietà, il management, il personale, gli amministratori; altre all’esterno: i clienti in primis e poi i fornitori, i consulenti, gli agenti, gli azionisti…) unite dalla partecipazione alle stesse passioni ed emozioni, dalla condivisione di comuni esperienze, luoghi, rituali, in qualche modo connessi ai medesimi prodotti e servizi. I prodotti e servizi non sono più quindi l’oggetto primario ed esclusivo del rapporto azienda-cliente; essi vengono considerati di fatto solo uno strumento per vivere il legame tribale e le “cerimonie” che lo esprimono e lo rafforzano.
L’azienda allora non è più soltanto una fornitrice di servizi e di prodotti, ma diventa un membro della tribù che partecipa in prima persona alle attività della tribù, come “uno dei nostri” e non solo un profittatore della tribù. Ed anche la motivazione del personale interno all’azienda passa per il coinvolgimento nelle attività tribali, superando la dicotomia personale/clienti, con tutti (personale, clienti, fornitori…) considerati membri della medesima tribù e coinvolti nelle medesime attività tribali.
E qui occorre fare un passaggio importante: la fidelizzazione dei clienti, la motivazione al personale, il coinvolgimento attivo, fedele e appassionato dei fornitori dipendono essenzialmente dalla condivisione dei valori e cioè dalla comunanza di ciò che è ritenuto importante da ciascuno di loro. La fedeltà dei clienti, la lealtà e la collaborazione dei fornitori e l’entusiasmo del personale si ottengono con la condivisione dei valori e della visione. È attorno ai valori e alla visione che si coagula la tribù, ed è proprio nella ricerca di soddisfare visione e valori condivisi che si soddisfano i bi-sogni dei membri della tribù.
Voglio dire che è del tutto inutile chiedersi quali sono i bi-sogni che i nostri clienti vogliono realizzare con i nostri prodotti-servizi, se non identifichiamo e realizziamo dei valori, una missione e una visione coerenti con quei bi-sogni. Voglio dire che è inutile interrogarsi su come coinvolgere i nostri stake-holders in una rete di relazioni “tribali”, se i nostri valori, missione e visione sono antitetici rispetto a  quelli degli altri membri della potenziale tribù. Voglio dire che è inutile sognare di diventare un’azienda di successo, se la missione e la visione dell’azienda non sono chiare a tutti i suoi membri e, soprattutto, se i valori individuali sono in contrasto tra di loro.
La definizione chiara e condivisa dei valori sui quali costruire l’eccellenza del servizio e dei rapporti tribali, della missione aziendale e della visione di cosa vogliamo costruire insieme per il futuro sono il prerequisito essenziale, la condizione basilare, il primo passo da compiere per la messa a fuoco di una qualsivoglia strategia di successo.
Abbiamo detto: ridefinire valori, missione e visione, tali da realizzare un’avventura che valga la pena di vivere e di vivere insieme ad altre persone; solo in questo modo sarà possibile far esplodere tutte le energie, la creatività, l’impegno, la collaborazione, l’entusiasmo. Abbiamo detto cioè qualcosa di fantastico, ma sono appunto parole. Ma in pratica come si concretizza tutto ciò? Occorre aver chiari alcuni principi fondamentali e realizzare un preciso processo.

PRINCIPI FONDAMENTALI:

  • Scoprire in maniera oggettiva i valori che caratterizzano l’organizzazione, siano essi convergenti o divergenti rispetto agli obiettivi, siano essi valori a cui individualmente teniamo oppure no.
  • Scoprire che cosa deve cambiare, interrogando tutti gli interessati. Se davvero occorre modificare abitudini, mentalità, cultura e comportamenti è necessario che il cambiamento sia guidato dagli interessati; non può essere imposto.
  • Non avere fretta: i cambiamenti culturali non avvengono in un giorno e ci vuole tempo per coinvolgere e ascoltare tutti; ci vuole tempo per ottenere l’adesione convinta di tutti; ci vuole tempo per sradicare e cambiare vecchie abitudini comportamentali.
  • La strategia deve essere contemporaneamente top-down e bottom-up. Top-down perché deve partire dal vertice l’impegno ad affrontare la realtà culturale, organizzativa ed emozionale e a cercare l’adesione di tutti ad una visione ideale. Senza questo impegno forte e concreto del vertice il processo non potrà avvenire. Ma questo non basta: occorre realizzare anche una strategia bottom-up, perché l’adesione si ottiene soltanto attraverso il coinvolgimento, la partecipazione e l’ascolto non formali. Occorre “cercare insieme”, con disponibilità ed onestà, senza imporre le proprie idee.
  • Guardare profondamente all’interno di se stessi per evitare gli stereotipi, i  pregiudizi,  la  superficialità  e  per comprendere invece  quali sono  i bi-sogni, le aspirazioni e i significati ai quali poter riconoscere il valore di una visione ideale, con la quale valga la pena di identificarsi.
  • Creare sintonia, non allineare. Molti manager affermano di voler “allineare” i valori dei propri collaboratori ai valori dell’azienda (che spesso sono soltanto i loro valori personali). Come è stato ormai ampiamente dimostrato, la cosa non funziona. Per indurre le persone ad abbracciare il cambiamento è necessario che la nuova strategia sia vissuta da ciascuno come propria e cioè come rispondente ai propri sogni, convinzioni e valori.
  • Dare più valore alle persone che alla strategia. L’ascolto dei sogni, convinzioni e valori deve essere un ascolto vero, finalizzato a creare risposte positive ai bi-sogni dei membri della “tribù”. Questo creerà legami emotivi tra le persone e il management, tra le persone e l’organizzazione.
  • Mettersi in gioco in prima persona e dare esempio. È assolutamente indispensabile che il management si dimostri in ogni circostanza del tutto coerente con la visione ideale. Comportamenti inadeguati o incoerenti da parte dei manager, si ripercuoteranno  a cascata su tutti i livelli inferiori dell’organizzazione.
  • Dotarsi di sistemi di gestione delle risorse umane coerenti con i valori e la visione ideale. In particolare è importante che i criteri di selezione e i sistemi premianti (sistema delle carriere, promozioni, sistema incentivante, dinamiche retributive, sistemi di MBO) tendano a valorizzare capacità, comportamenti e risultati coerenti con i valori e la visione ideale. Se questi non sono riconosciuti nei sistemi di gestione delle prestazioni e se vengono di fatto premiati comportamenti opposti, il personale sarà spinto proprio a mettere in atto i comportamenti premiati, anche se, a parole, sono dichiarati come non voluti.

IL PROCESSO
Il processo di chiarimento e definizione dei valori, missione e visione aziendale inizia con la creazione di un team di progettazione che deve avere al suo interno i rappresentanti di tutti i settori dell’organizzazione.

Il processo prevede le seguenti fasi:

  • Fase 1: chiarire i valori. Robert Haas, presidente e amministratore delegato della Levi Straus afferma: ” I valori di un’azienda, ciò per cui essa esiste, quello in cui crede chi ci lavora, sono fondamentali per il suo successo competitivo. In realtà, sono loro che guidano l’azienda”. Se tutti avessimo gli stessi valori a cui dare le stesse priorità, sarebbe facile lavorare in gruppo e perseguire con la massima efficacia gli obiettivi comuni. Sono i valori condivisi infatti che danno energia, motivazione, spinta, entusiasmo, passione; e quando una cosa ci appassiona, quando la vediamo importante per noi, allora siamo pronti per grandi imprese.
  • Fase 2: esaminare il contesto della situazione presente. Non si può andare da nessuna parte, se non si sa da dove si viene e, soprattutto, dove si è. Per poter progettare il futuro, occorre avere le idee chiare sullo stato attuale dell’organizzazione, dei suoi prodotti, mercati, tecnologie, competenze, risorse. Si può anche partire dall’analisi della storia dell’organizzazione per riscoprire lo spirito e l’energia dei fondatori, per passare poi ad analizzare le opportunità e i pericoli, i punti di forza e le aree di miglioramento, il contesto sociale, culturale e politico e concludere con un’approfondita analisi del bi-sogni dei clienti.
  • Fase 3: definire la missione. La missione è la sintesi dei bi-sogni dei clienti e dei dipendenti sul nostro business, di quello che loro si aspettano da noi, dai nostri prodotti-servizi e dalla nostra relazione con loro. Essa definisce lo scopo fondamentale della nostra organizzazione e ne chiarisce la diversità (l’unicità) rispetto alle altre.
  • Fase 4: creare una visione. La visione è l’immagine consapevole di ciò che vogliamo essere e creare nel futuro. Essa si basa sul presente e si lancia verso il futuro, diventando la guida per le scelte e le decisioni di ogni giorno. La visione deve comprendere le nostre aspirazioni più profonde, le nostre speranze e i nostri sogni espressi ed inespressi. Essa deve essere capace di emozionarci, di esaltarci individualmente e collettivamente: se non motiva noi non potrà motivare gli altri. Solo così sarà in grado di creare passione ed impegno, come ci ricorda Nikos Kazantsakis: “Credendo appassionatamente a qualcosa che ancora non esiste, lo creiamo. Quello che non esiste è tutto ciò che non abbiamo desiderato a sufficienza”.
  • Fase 5: realizzare la visione. Si tratta di portare i risultati del processo nella realtà quotidiana, andando a definire con chiarezza sia le capacità e i comportamenti coerenti con i valori, la missione e la visione che abbiamo definito, sia quelli con essi incoerenti. Occorre scoprire le forze che impediscono di implementare una visione e quelle che aiutano la visione a divenire realtà. Occorre scoprire i meccanismi operativi e i sistemi di gestione che ci aiutano e quelli che ci impediscono di realizzare la visione. Occorre quindi riprogettare tutta l’organizzazione, nella sua cultura e nei suoi sistemi operativi, coinvolgendo tutte le risorse nella progettazione e nella implementazione di precisi piani di azione mirati a realizzare la visione in tutti gli aspetti della vita aziendale, interna ed esterna.

Giovanni Silverii

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