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“Glory” di Edward Zwick


Glory

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Nel 1863, in piena guerra di secessione, al Capitano Robert Gould Shaw viene affidato il compito di addestrare e comandare, sotto il grado di Colonello, il 54º reggimento volontari di fanteria, composto in prevalenza di ex schiavi di colore. Inizialmente presi poco sul serio e derisi, questi sapranno dimostrarsi dei soldati coraggiosi che lottano per la libertà della propria patria.Nel lungo cammino che ha portato all’odierna integrazione della comunità afro-americana negli Stati Uniti, un contributo importante è stato dato anche dal 54° reggimento Massachusetts, uno dei primi ad essere completamente formato da soldati di colore, e che, nella guerra di secessione di due secoli fa, diede una fondamentale spinta alla causa nordista. Come spesso accade, a portare alla ribalta queste gloriose pagine di storia poco conosciute, ci ha pensato il cinema, con questo “Glory – Uomini di gloria”, terzo lavoro del regista Edward Zwick (solo due commedie al suo attivo allora). Un film ottimamente accolto alla sua uscita, con tanto di tre premi Oscar, fra cui uno come miglior attore non protagonista ad un giovane Denzel Washington. Basato su varie fonti storiche, fra cui le lettere del venticinquenne colonnello Robert Gold Shaw (Matthew Broderick), che è poi l’unico fra i protagonisti della pellicola realmente esistito, l’opera regala uno spettacolo di buon impatto emotivo, poggiando su svariati elementi degli di nota, come la bella colonna sonora di James Horner, futuro premio Oscar con “Titanic”, le solide interpretazioni del ricco cast, che vede fra le sue fila anche Morgan Freeman e Cary Elwes, o il curato comparto tecnico. Apprezzabili sono anche la regia e la sceneggiatura, seppure proprio in questi due elementi si registrano alcuni limiti dell’opera, che risiedono in una certa convenzionalità e compiacenza del narrato. Zwick dirige con un taglio classico, confezionando svariate sequenze dal respiro epico (bella in particolare l’ultimissima scena della fossa comune), a tratti però calca appena la mano, con qualche eccesso di enfasi. Lo script, da parte da sua, presenta figure certamente interessanti, che nel loro insieme ben rappresentano le grandi contraddizioni di uno dei periodi più difficili della storia americana, ma a ben vedere sono alquanto tipicizzate, e costruite ad hoc per conquistarsi i favori del pubblico. Una pagina di storia dunque che avvince, seppur con qualche manierismo.

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