Assumendo l’incarico di presidente della Confindustria e di presidente della Fiat, Luca Cordero di Montezemolo ha insistentemente riproposto un termine, non nuovo nel lessico manageriale, ma non per questo meno importante. “Fare squadra”, ha affermato il neo doppio presidente, “è la filosofia di base del mio modo di operare nelle organizzazioni”. Cordero di Montezemolo avrebbe potuto citare il “lavoro di gruppo” come filosofia di base, anche perché la letteratura manageriale abbonda di questa proposta, presentandola come alternativa al “lavoro individuale” del manager. Se non ha citato il “gruppo” e ha preferito il termine “squadra” forse è perché anche per il neo doppio presidente una differenze esiste al punto di doversi proporre il dilemma: gruppo o squadra?
Il concetto di squadra evoca l’ambiente esterno della competizione e della sfida (i tecnici della Ferrari insieme ai piloti contro le altre squadre), mentre il concetto di gruppo privilegia l’attenzione all’assetto interno nella collaborazione fra persone, alla loro organizzazione per ben lavorare, più che per gareggiare (gli amministrativi della Ferrari per la buona gestione dell’Azienda). Nel gruppo si discute, si media, si negozia, si opina, si prendono le distanze, si ammettono le eccezioni. Nella squadra è tutto il contrario o quasi.
Scriviamo e diciamo “quasi”, perché rovesciando di 180 gradi i verbi prima elencati si descriverebbe una situazione poco gradita alla maggior parte dei manager italiani, abituati a discutere, mediare, negoziare. Una situazione che si potrebbe descrivere così: nella squadra non si discute (non c’è posto per la discussione una volta deciso cosa fare), non si media (perché la mediazione è sempre un abbassamento del livello di eccellenza), non si negozia (perché se si ha ben chiaro l’obiettivo e l’obiettivo è uguale per tutti, non c’è bisogno di modificarlo), non si opina (le opinioni non danno quasi mai risultati concreti), non “si prendono le distanze” (chi le volesse prendere esce dalla squadra), non si ammettono le eccezioni (o se ci sono si risolvono in un secondo momento a risultato acquisito).
Ottenere da un management abituato a lavorare in gruppo, un comportamento di squadra non è facile e la sua pratica non è immediatamente conseguente alla dichiarazione. Ci vuole tempo, serve una selezione severa delle persone, è un problema di educazione non spontanea che deve essere indotta con la convinzione, con la formazione, con l’esempio, più che con la costrizione. Il concetto di squadra implica che le persone di cui essa è costituita devono avere coscienza di partecipare a una sfida, alla fine della quale o c’è la vittoria o c’è la sconfitta.
Chi opera in un gruppo raramente perde, e se fa bene il lavoro non necessariamente si dice che “ha vinto”. Il gruppo è orientato prevalentemente all’efficienza (ottimizzazione del processo); la squadra è orientata prevalentemente all’efficacia (ottimizzazione del risultato).
Nel gruppo prevale lo “spirito di collaborazione”; nella squadra lo “spirito di competizione”.
La strategia della competizione ha come obiettivo il successo. Nello sport il successo consiste nell’arrivare per primi al traguardo o nel fare più punti dell’avversario. Nella produzione di beni e di servizi, il successo consiste nell’arrivare per primi sul mercato, nell’eccellere per la qualità, nel conquistare una maggior quota di vendite. Nello sport e nella produzione di beni e di servizi, la competizione, la sfida, la gara avvengono sempre in un ambiente nel quale una delle parti non può prevedere a priori quello che sarà il comportamento dell’altra. In un gruppo i comportamenti reciproci sono, invece, definiti da norme e procedure. Nel “lavorare di gruppo” non dovrebbero esserci sorprese; nel “lavorare di squadra” c’è sempre l’incognita dell’avversario.
Il gruppo ben si addice ad ambienti di lavoro stabili (e quindi prevedibili); della squadra c’è bisogno quando si opera in un contesto turbolento o caotico, imprevedibile, non perfettamente conosciuto, con continue sorprese o incidenti di percorso.
Nel calcio, quando la squadra entra in campo, dovrebbe avere ben chiare le strategie di attacco e di difesa pensate dall’allenatore. Ma quanto ai criteri per attuarle (la tattica) molto è lasciato al giocatore, non per amore di delega, ma per necessità. Quasi mai le strategie dell’allenatore trovano consenziente l’allenatore della squadra avversaria. Da qui una sorta di turbolenza in campo, determinata dalla ricerca continua e talvolta confusa per far prevalere una strategia sull’altra. Tutti i manager sanno (o possono) lavorare in gruppo; non tutti sanno (o possono) lavorare in squadra. Giusta, quindi, l’enfasi data al termine “squadra” da Cordero di Montezemolo. E’ anche un avviso dato ai suoi collaboratori: “Se non saprete lavorare con me con spirito di squadra, vi metterò in panchina…. a fare gruppo!”.
Di Riccardo e Ludovica Maria Varvelli