Quando il servizio personalizzato diventa il criterio del servizio di qualità, si finisce per dedicare maggiore attenzione alla relazione fra chi riceve il servizio e chi lo presta, che all’obiettiva natura del compito.
“Mi farebbe questo favore?” dice la hostess chiedendomi di riportare il sedile in posizione verticale in vista dell’atterraggio. Perché un favore? Perché un favore a lei? Un favore personale?
In realtà stiamo compiendo i rituali impersonali dell’atterraggio, i corretti procedimenti che si avvicinano a una forma ideale, e che hanno poco a che fare con le relazioni umane fra me e lei. Il nome del cameriere non ha alcun rapporto con il pranzo per il quale sono andato in quel ristorante – non sono lì per fare amicizia con il cameriere. Non sarà il suo “Buon appetito!” quando inizio a mangiare, né il suo domandarmi, dopo, se le pietanze mi sono piaciute, a manifestare la sua preoccupazione che io mangi bene, bensì la sua coscienza di precisione nei confronti di ogni singolo atto, nei confronti dei rituali che è lì a compiere. È questo a far sì che il suo sia un lavoro ben fatto.
Il lavoro personalizzato antepone la persona al servizio.
Una persona serve l’altra: io son al tuo servizio oppure tu al mio, e così il rapporto padrone/schiavo proprio della servitù è subito in agguato nell’ombra, rivelando da una parte un’amabilità di superficie e dall’altra un risentimento aggressivo. Soltanto una suora di carità, e che sia davvero santa, può compiere un servizio personalizzato senza lasciarsi catturare dall’ostilità repressa che sta nell’ombra.
E’ il lavoro che richiede servizio; l’obiettività del lavoro trasforma il servizio in un’attività rituale.
Quindi potremmo considerare il servizio non tanto a vantaggio di una persona quanto a vantaggio di una cosa, di un evento, di una situazione; non un servire che diminuisce il potere, semmai un accrescimento; non una gentilezza soggettiva, ma un rituale obiettivo. Come dare la cera al pavimento per aumentare la lucentezza, o come arieggiare una stanza dopo che tutti se ne sono andati a dormire.
Per rituale obiettivo intendo il modo in cui un’infermiera fa il bagno a un paziente immobile, un sacerdote officia la messa, un interprete traduce il testo, un attore recita la parte. In questi casi il personale può interferire con l’esecuzione obiettiva del servizio e con le caratteristiche del lavoro. Non soltanto le persone, ma anche le cose richiedono servizio – le macchine da lubrificare, i videoregistratori da pulire, le lavatrici da riparare, i messaggi da trasmettere.
Sono le cerimonie di chi si occupa delle riparazioni. Gli oggetti hanno una loro personalità, che richiede attenzione, proprio come ci fanno vedere i pubblicitari quando ci mostrano una vasca da bagno sorridente che si gode il nuovo detersivo, oppure il rivestimento in legno tutto soddisfatto della vernice appena stesa, che gli impedisce di marcire. Trattare le cose come se avessero un’anima, con cura, con buone maniere – questo è il servizio di qualità.
James Hillman
da “Il potere”