Sulle rive del Grande Fiume, sorgeva in antichità un regno. Il Sovrano era un uomo di non grande intelligenza, o meglio, era un uomo molto dotato, ma non credeva nella sua capacità di governare.
Soprattutto, non credeva di saper parlare in maniera appropriata con i sudditi e con i sovrani di altri regni, che confinavano con il suo. Così questa sua insicurezza, questo suo dubbio, non lo faceva quasi dormire: non si sentiva adeguato al suo ruolo.
Decise, quindi, di scegliere alcuni ambasciatori che potessero fare ciò che a lui non riusciva: parlare alle persone e far loro comprendere il significato del suo regno. Non sapendo a chi rivolgersi, si recò presso una grande scuola, che sorgeva alle soglie del suo regno, dove venivano educati i giovani più capaci. Vi si recò di persona e gli furono consigliati i tre giovani più intelligenti. Egli, soddisfatto, li portò a palazzo e decise di dar loro alcuni compiti, in modo da capire quale fosse la persona più giusta per il difficile compito che lo avrebbe atteso.
I tre giovani si disposero all’opera.
Il compito dato dal Re era di trovare un modo per parlare col popolo dei progetti e delle opere che avrebbero dato a tutti maggiori agi, denari e commercio, ma che, qualche volta, avrebbero potuto causare qualche disagio e sacrificio nei sudditi.
I tre giovani si misero all’opera. Il giorno dopo si presentarono al Sovrano per esporre come avrebbero agito una volta scelti. Il primo disse: “Sire, io sono mortificato; non posso fare quello che tu mi hai chiesto, io non conosco veramente quelli che sono i tuoi progetti e come vuoi portarli avanti; come posso presentarli alle persone e addirittura ai Sovrani dei regni vicini? Lascia ch’io prima comprenda, altrimenti devo ritirarmi”.
Il secondo si presentò davanti al Sovrano. Era ben vestito, un largo sorriso gli trasformava il volto, il suo passo aveva un fare sicuro e il tono della sua voce era convincente. Espose con gesti e sorrisi, ma in maniera né troppo chiara, né troppo precisa, quel poco che aveva capito di ciò che il Sovrano aveva detto a lui.
Il terzo arrivò. Nessun sorriso sul suo volto, ma la testa era tenuta alta e fiera. Guardando chi lo ascoltava negli occhi, lesse con parole che aveva scritto durante la notte, tutto ciò che gli aveva detto il Sovrano. Tutto era esposto con parole splendide, un po’ difficili, non sempre chiare, ma che facevano appello agli Dei, al Grande Fiume, agli avi e ai successori. Il Sovrano ne rimase colpito e decise che doveva essere lui a portare il suo messaggio e così fu. Sollevato da questo cruccio, il Sovrano lasciò che il giovane andasse fra i suoi sudditi e nei regni vicini a trasmettere il suo messaggio. Diede a lui tanta fiducia, come a lasciar un peso scomodo, che troppo a lungo aveva portato; così mai controllò cosa di preciso dicesse o facesse, sicuro, come in realtà era, della buona fede di questa persona. E così un anno passò ed il Re si accorse che i suoi sudditi erano più freddi nei suoi confronti, vide che dei sovrani delle città vicine si rarefacevano nel tempo e cominciò a chiedersi cosa stesse accadendo. Disperato, cominciò a pensare quali errori avesse fatto. In quel momento arrivò a palazzo l’insegnante di alcuni dei ragazzi della scuola, seguito dal primo dei giovani che aveva parlato al Sovrano e gli disse: “Hai sottovalutato questo giovane; ora è pronto, è pronto a trasmettere veramente quello che tu Re hai nel cuore; è pronto perché ti ha osservato, ti ha capito, ha compreso il tuo tormento e il tuo essere. Solo ora può portare la tua voce agli altri. Nessuno, che non abbia veramente compreso, può fare questo. Né le belle parole, né le belle sembianze, né il parlare degli Dei, né il sorriso, possono servire allo scopo: solo il cuore può, quando ha compreso. Il tuo regno sta attraversando una profonda crisi: ritira il tuo messo, esponi te stesso e questo giovane che, con silenzio, con umiltà e con dedizione, ha cercato prima di comprendere e poi di fare”. A quel punto, il Re si accorse del suo errore, richiamò il suo ambasciatore, fece quello che il vecchio maestro gli aveva suggerito e tutto il paese ne fu felice.
Sauro Tronconi
da “I racconti del grande fiume”