Dato che l’immaginazione del business e dell’industria rimane sotto l’influsso del paradigma della produttività, un paradigma che favorisce l’occupazione high tech / low touch (alta tecnologia / basso contatto), noi continuiamo a svalutare il rovescio della medaglia, così necessario per il servizio: high touch / low tech (alto contatto / bassa tecnologia). In questo modo la nostra società continua a favorire l’esistenza di una forza lavoro sottoretribuita, non rispettata, carica di risentimento e riottosa, che aspetta solo di vincere alla lotteria per riscattarsi dalla degradazione insita nell’idea stessa del suo lavoro. Fino a che un buon servizio significherà “eliminare ciò che non è necessario fare” (la teoria per cui “la forma segue la funzione”, propria dell’architettura modernista, applicata ai servizi umani), avremo un servizio arido, senza fronzoli, privo di fantasia, che limita in coloro che serve il potere immaginativo. Un buon servizio, invece, “fa quel passo in più”, “esce dal suo normale percorso”, rivela variazioni immaginative, trova il modo giusto per soddisfare. Si rivolge all’immaginazione e rallegra l’immaginazione ma anche i sensi. E’ Barocco più che Bauhaus.
Per cambiare la nostra idea del servizio dovremmo ripulire il nostro consueto modo di parlare, focalizzato in modo ossessivo sulla distribuzione, l’attuazione, la razionalizzazione e la performance, che trae i suoi modelli dai sistemi di servizio rapido alla McDonald’s, o dalla regola della risposta telefonica rapida della Federal Express.
Ridurre in modo semplicistico il piacere che trova l’uomo ner servire – il prendersi cura, il riparare, l’assistere, l’insegnare, il pulire, il rispondere, il mettere in ordine, l’accogliere, il conservare, il tranquillizzare, il nutrire, il guidare – non può che vanificare tutti i nostri tentativi di migliorare la qualità da cui dipende l’economia.
Ma dopo tutto, cos’è la qualità se non l’approssimazione a un ideale? Cioè, l’idea della qualità colma lo scarto fra un effettivo evento materiale e una forma perfetta idealizzata. Con il suo tendere alla perfezione, la qualità rievoca all’anima la bellezza ideale. Si dice, infatti: “Un servizio perfetto!”. Una sostanza chimica di qualità è quella che non contiene surrogati, che si avvicina al 100% di purezza. Uno strumento meccanico di qualità tollera soltanto imperfezioni infinitesimali. Un servizio di qualità, invece, suscita elogi di un altro ordine quando viene apprezzato: superbo, garbato, bello, divino, straordinario, meraviglioso. In quanto gesto estetico, un buon servizio offre, a chi lo compie e a chi lo riceve, il piacere della bellezza dell’esecuzione, dando così intensità alla vita e aggiungendo valore a un evento che altrimenti sarebbe soltanto una transazione.
Questa visione estetica della qualità consente di leggere su un piano differente la riconosciuta superiorità della qualità giapponese. Credo che abbiamo erroneamente attribuito quella superiorità soltanto a un insieme di fattori economici e psicologici: il conformismo della forza-lavoro e l’omogeneità propri dei Giapponesi; la loro forte pressione scolastica, che assicura l’abitudine alla concentrazione e all’attenzione prolungate; il lavoro manageriale organizzato in èquipe; la disciplinata competitività, dai vertici alla base; la tradizione di obbedienza alle regole (minuziosamente specificate), perfino la “cultura della vergogna”, dove gli errori diventano psicologicamente intollerabili.
A questi fattori che vorrebbero spiegare la qualità giapponese, vorrei aggiungere la sensibilità estetica, che è essenziale sia per il decoro che caratterizza la vita quotidiana dei Giapponesi sia per le complessità della loro lingua fortemente legata alle immagini. Da sempre la mentalità giapponese è inserita in una cultura che dedica una devota attenzione ai particolari percepiti con i sensi. La loro passione per le arti raffinate – l’arte di disporre i fiori, la cerimonia del tè, la calligrafia, le arti marziali e le armi, la miniaturizzazione, l’abilità manuale, l’amore per i giardini, la preparazione dei cibi, la danza tradizionale, così come quella sottile, infinitesimale varietà di gesti che caratterizzano le rappresentazioni del teatro No, rivelano una “coscienza di precisione” delle qualità estetiche in un’aspirazione all’ideale. Una coscienza di precisione è quello che noi chiamiamo “controllo di qualità”.
JAMES HILLMAN – Il Potere – Come usarlo con intelligenza
Rizzoli