Qualsiasi relazione umana, professionale o personale, ha, per sua natura, un’elevata componente di scambio emozionale, il cui riconoscimento e ascolto sono le basi per sviluppare rapporti umani di fiducia, collaborazione e stima.
Questo riconoscimento e ascolto è detto “Empatia”, cioè l’abilità che consente alle persone di entrare in sintonia con i propri e altrui stati d’animo. Sviluppare e affinare la capacità di capire cosa sta accadendo nel “qui e ora” di un’interazione tra esseri umani e cosa muove le persone, tutte, dal punto di vista emotivo, significa porre le basi per la riuscita di qualsiasi relazione umana. “Empatia”, come il suo equivalente tedesco, Einfühlung, è una parola “difficile”. Una di quelle che vanno soppesate con cautela, perché è facile usarla molto a sproposito, equivocando e inducendo in equivoco. Simpatia, compassione, comprensione, partecipazione vi si avvicinano tutte un poco, ma hanno un senso decisamente più debole. Se, per rimanere nella prossimità etimologica, “simpatia” può indicare un “patire con”, nel senso di una partecipazione intensa alle emozioni e ai sentimenti di qualcun altro, “empatia” sembra indicare qualcosa di più, un “entrare dentro” negli stati d’animo di qualcun altro, più un diventare uno che un partecipare “con”.
La capacità empatica permette di leggere e capire non solo le emozioni che le persone esprimono a parole, ma anche quelle che, più o meno consapevolmente, sono espresse con il tono di voce, dai gesti, dall’espressione del volto e da altri simili canali non verbali.
Condividere empaticamente lo stato emotivo di un’altra persona implica che l’individuo, in primo luogo, abbia sviluppato la consapevolezza che gli altri sono diversi da sé, che hanno una loro stabilità e continuità nel tempo, che vivono emozioni e sentimenti differenti dai propri, che si esprimono attraverso differenti modalità.
E’ coscienza è conoscenza di sè: più si è aperti e disposti a riconoscere ed accogliere le nostre emozioni, tanto più impariamo a comprendere i sentimenti degli altri.
L’individuo deve essere in grado di discriminare in modo corretto i molti modi di espressione dell’altro, nonché di assumere la prospettiva dell’altro per poterne comprendere intenzioni, pensieri e motivazioni. Infatti, se possiamo affermare che l’empatia è una esperienza affettiva, basata sulla compartecipazione del “sentire”, è altrettanto vero che non può esserci partecipazione e condivisione dove non vi sia una buona capacità di discriminazione che consenta di comprendere la prospettiva e il ruolo dell’altro.
L’accesso alla realtà del mondo esterno è garantito dunque non solo dalla percezione delle cose, ma anche dall’atto che ci restituisce l’esistenza degli altri e le loro prospettive: l’empatia.
L’empatia mira a “chiarire l’essenza dell’atto che sta alla base di tutte le forme attraverso le quali ci accostiamo a un altro” e quell’atto è l’empatia. Questa “mette in contatto con un’emozione altrui, dolorosa o di altro tipo, ma non è identificabile con la partecipazione emotiva, la condivisione di un affetto o con altre forme particolari di comunicazione con gli altri. Essa è piuttosto la via per accedere all’intera persona dell’altro e rappresenta quindi la condizione di possibilità dei sentimenti di simpatia, amore, odio, pietà, compassione, nonché delle molteplici forme di comprensione degli altri”.
In questo senso “empatia” diventa il termine che indica “l’ambito di esperienza entro il quale si danno le molteplici forme del sentire l’altro, l’amicizia, l’amore, la compassione, l’attenzione, la cura, il rispetto, il riguardo” , il fondamento di quell’ambito d’esperienza, attraverso un movimento che porta presso l’altro, a rendersi conto di ciò che sente, a viverlo con intensità pur sapendo che è suo e non nostro, cogliere senza immedesimarsi; non una confusione o un’identificazione di qualche strano tipo, ma una forma di “accesso alla realtà vissuta di un altro essere umano” .
“L’empatia è acquisizione emotiva della realtà del sentire altrui” e “si configura come l’esperienza di un altro in quanto soggetto vivente di esperienza come me”.
Incontro un’altra persona, nel senso forte dell’incontro empatico: se posso sentire in qualche modo il suo dolore, la sua sofferenza, la sua gioia, sentirò anche, in altri casi, il suo odio, il suo disprezzo, il suo desiderio di far del male. L’incontro alla fine mi porterà ad amare quella persona, a condividere la sua sofferenza, oppure a ritrarmi, a provare disgusto, timore, o magari a condividere il suo odio, il suo disprezzo, il suo desiderio di far del male.
Si tratta di saper comprendere che gli altri, anche in situazioni simili a nostri vissuti, possono avere modi molto diversi di sentire poiché la loro personalità è diversa, come i loro atteggiamenti, i loro valori e i loro punti di riferimento.
Si può comprendere il punto di vista dell’altro senza essere d‘accordo, rispondere alle sue richieste, provare simpatia o amore. Ma la comprensione implica l’accettazione globale (non solo razionale) del suo punto di vista come appartenente al genere umano, a ciò che è possibile, a tutte le infinite variabili dell’essere che hanno valore e ragione di esistenza.
In tal modo diamo all’altro e noi stessi ciò che implicitamente chiediamo: essere legittimati ad esistere nel nostro essere più spontaneo ed autentico.
L’intelligenza empatica è infatti un’intelligenza del cuore, che ha fiducia nelle capacità di percezione e di autovalutazione dell’individuo, che crede nella possibilità e nella libertà dell’essere umano di raggiungere l’autorealizzazione, attraverso lo stabilirsi di relazioni umane positive e gratificanti, oltre che efficaci nel loro effetto feedback: rinviare un’immagine del proprio sé intatta ed ogni volta rivalutata.
Gaetano Strano